Una Società che risorge

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Serve un nuovo umanesimo, servono nuovi modelli

In questo contesto mondiale in cui tutti i governanti e le istituzioni ci parlano di crisi e di sacrificio, la società si è arresa al pessimismo, si è arresa alla propaganda del sacrificio e alla morte. Occorre un risveglio, una ri-nascita; occorre ridare cuore, corpo e ragione all’umanità". Lo ha detto ill priore di Fonte Avellana, Don Gianni Giacomielli, che le Acli del comprensorio Eugubino-gualdese hanno incontrato domenica 10 aprile nello scriptorium del monastero. Si dice convinto, l’avellanita, che serva un nuovo umanesimo per uscire dalla crisi/fallimento della società moderna. Senza fare sconti a nessuno né alla chiesa cattolica "verticistica e autoreferenziale", né alla politica "incapace di fare", né all'economia che "chiede solo sacrifici agli altri". Nel nuovo umanesimo del priore di Fonte Avellana figurano parole come solidarietà, amore, felicità, coscienza, reciprocità, persona.
Secondo il monaco bisogna ripartire dalle bambine e dai bambini, porre attenzione alla tessitura dell'essere umano perché il punto fondamentale è uscire dalla sindrome della paura, da questa depressione collettiva generalizzata, che ci chiede sacrifici, e non a tutti allo stesso modo, che ci toglie creatività e umanità. Bisogna saper interpretare i fatti gravi di Brussels e di Parigi come quelli altrettanto gravi di Beirut e di Bamako”. Occorre cogliere la necrotizzazione della società, il livello di prossimità alla morte. Don Gianni esorta, quindi, per non cadere in questa sindrome, ad assumere una posizione eretta per riappropriarci della felicità in una dimensione di vita comune. "Perché la felicità privata non esiste. L'edonismo, il privilegio e l’individualismo sono caricature grottesche della felicità. Per questo Papa Francesco ha chiesto che ogni parrocchia ospitasse una famiglia di immigrati. Quante parrocchie hanno ospitato queste famiglie? Pochissime. Non ci aspettiamo soluzioni dai partiti, dall'economia, dalle istituzioni religiose così appesantiti dalla loro autoreferenzialità.
Ci chiedono sacrifici: la religione in nome della morale; l'economia nella logica per la quale il nostro massimo obiettivo dovrebbe essere il profitto e l’individualismo. Occorre, invece, essere fedeli all’altro, all’immigrato, all’emarginato, solo così si costruisce la condivisione con le persone e la felicità”. Don Gianni Giacomielli, da cristiano, si domanda perché la società non risorge, perché non vede ciò che è davanti agli occhi, perché non “crede” nella resurrezione? Perché è narcotizzata. Sfugge agli occhi di molti l’ovvietà del possibile. Il modello attuale, quello della società borghese, non è in crisi, è fallito. La crisi è un momento, un inciampo nel cammino della storia, invece il sistema capitalistico è destinato al fallimento. E’ un modello destinato a morire. Che fare, allora, si domanda il priore? Costruire nuovi modelli economici, un nuovo modo di interpretare la realtà economica e sociale. Scendere dalla torre d’avorio che confina il sistema occidentale come il migliore dei sistemi, se non l’unico al mondo. Basta la contrapposizione, il solipsismo quello che occorre è il confronto, la giustapposizione, è la presa di coscienza: è la persona.
Ed ecco le sue prospettive: "Dobbiamo avere il coraggio di creare un’ autoformazione sociale, una cittadinanza attiva: essere promotori nei luoghi dove viviamo, nella scuola, nel quartiere, dove non contano le prestazioni e il denaro, ma le persone e il bene comune. Solo così riusciamo a costruire una risposta a quella crisi di cui tutti parlano. Quando una comunità prende in mano la propria convivenza, la propria coscienza e pretende che i diritti umani siano rispettati, riporta giustizia ed equilibrio. Allora quella comunità, continua l’avellanita, sta facendo una grande opera di cambiamento. La scuola e le famiglie da sole non potranno cambiare la situazione senza grandi percorsi di condivisione sociale. Basta, quindi, aspettare immobili la crisi, la prossima tappa sarà il fallimento! Riprendiamo l'iniziativa, usciamo da questa crisi, ri-progettiamoci secondo modelli socio-economici nuovi già sperimentati in altri continenti (Sud America, Africa). Non siamo nati per competere né per sopravvivere, ma per un'esistenza cristiana e amorevole che, alla fine, nemmeno la morte cancellerà". Con questa ultima vibrante sollecitazione ci ha salutati e ha rinnovato la sua disponibilità a un prossimo incontro.
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