Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare insieme

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Analisi pungenti, talvolta toccanti, addirittura rivoluzionarie. E’ bastata poco meno di un’ora di colloquio, davvero intenso, per uscire dall’Eremo di Fonte Avellana con un nuovo modo di pensare il mondo del lavoro, i suoi tempi, le sue dinamiche e gli sviluppi che questo inevitabilmente produce nella vita familiare. Il circolo “Ora et Labora” di Fossato di Vico ha scelto proprio il 19 marzo, festa di San Giuseppe e del papà, per discutere con Dom Mario Zanotti, monaco dell’eremo, di lavoro e di famiglia, due concetti centrali per la vita di ogni uomo che spesso però non riescono a conciliarsi e ad incontrarsi. Il monaco ha toccato davvero l’anima più profonda dei presenti, fra cui l’ex presidente provinciale delle Acli di Perugia Landis Kumar, proponendo soluzioni alternative e drastiche nell’organizzazione del lavoro. Negli ultimi anni con la crisi incombente, sociologi, politici, economisti, propongono continuamente ricette e soluzioni per creare occupazione e crescita ma raramente pensano a logiche di lavoro più umanizzanti e meno condizionanti. Le parole d’ordine sono crescita e ricchezza ad ogni costo. La nostra Costituzione pone il lavoro al centro, il vero pilastro della nostra Repubblica, senza il quale tutto sembra sgretolarsi. Ed oggi questa realtà sembra sempre più evidente. Chi non lavora si sente escluso, rischia di perdere la dignità ed un ruolo nella società. Di contro anche il lavoratore sottoposto a carichi massacranti, ad orari talvolta impossibili con contratti indecenti e tutele ridicole, vive una situazione difficile. Il lavoro a condizioni alienanti e stremanti non nobilita, non realizza ma priva l’uomo della propria libertà e del proprio tempo, le componenti più preziose per ogni individuo. Lavorare ad ogni costo, ad ogni condizione, sta diventando sempre più frequente e se si decide di non accettare certe proposte c’è pronta una schiera di lavoratori pronti a sostituirci. Una logica quasi ricattatoria a cui si è arrivati inconsciamente anche per delle scelte fatte e subite negli anni passati quando di crisi nessuno parlava. In nome del dio denaro si è deciso di accettare un compromesso per certi versi perverso, si è pensato di barattare tempo e spazi di vita per accumulare maggiori ricchezze. Più lavoro, più tempo dedicato ad esso, per poter comprare più beni e servizi nella maggior parte dei casi superflui se non inutili. La felicità è diventata proporzionale al conto in banca, ai beni che si possiede e che si possono donare ai familiari. Il minor tempo da dedicare alla famiglia viene sostituito con l’acquisto di qualche oggetto che, nella logica consumistica, soddisfa, dà gioia e riempie il vuoto delle nostre assenze. Si lavora di più per avere di più, per comprare di più, senza pensare che questo ci toglie il tempo. Per possedere beni perdiamo il nostro bene più prezioso: il tempo. Senza accorgercene, come meccanismi di un ingranaggio, come vittime del pensiero unico, togliamo a noi stessi, alla nostra famiglia ed alla nostra comunità, spazi di incontro, di dialogo e di rapporti umani. Ci si confronta sempre di meno, le relazioni sono sfuggenti, l’uniformità delle scelte e dei costumi ci condiziona ed avere un pensiero diverso, più libero e motivato, ci pone ai margini. Come sottolinea Don Zanotti, siamo polarizzati fra il mi piace ed il nulla, fra l’accettazione di certe dinamiche e la marginalizzazione, in un mondo virtuale che diventa paradigma del mondo reale. Il “like” imperante permea la società e se la famiglia non riesce ad essere più un modello, se non ci sono tempi di dialogo e di ragionamento, gli esempi che rimangono sono solo quelli dettati dai media e dai social, in un conformismo dilagante che uniforma tutto e tutti. La denuncia è forte, decisa e necessità di un cambio radicale nei nostri comportamenti. Se questo modello socio-economico non ci piace bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare dai nostri atteggiamenti e dalle nostre abitudini, ha ammonito il monaco. Ripartire dai tempi da dedicare alla famiglia, intesa non solo come nucleo domestico ma come comunità. Offrire se stessi agli altri; se non ho un lavoro posso comunque aiutare chi è nella difficoltà, impegnarmi nel sociale, dare un contributo alla comunità. Possono crearsi con il tempo reti di servizi, di scambio di beni partendo da una logica di dono di tempo e competenze. Ognuno diverrà un dono per l’altro e si supererà la logica egoistica del fare per se stessi invece che per gli altri. La famiglia non dovrà piegarsi necessariamente alle dinamiche lavorative, si vive di lavoro ma non si può perdere tutto per ottemperarlo anche a condizioni disumanizzanti. Il vero obiettivo non dovrà essere l’arricchimento ad ogni costo ma la capacità di vivere con meno puntando al miglioramento delle relazioni. Quello che siamo non dovrà dipendere più da quello che abbiamo, avendo bene in mente che attualmente tutto ciò che acquistiamo, spesso con grande superficialità, non avviene solo con i soldi ma soprattutto con il tanto tempo servito per guadagnarli. Finché questo circolo vizioso non verrà ridimensionato e ripensato, non potremo sperare in un cambiamento vero e radicale del nostro sistema socio-economico. La trasformazione può partire solo da noi e dalle nostre menti.
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